Due settimane dal Royal Wedding. Si è detto e contraddetto tutto ma soprattutto ci si è chiesti cosa rimane. Non vorrei addentrarmi in complesse e in fondo già viste considerazioni politiche o sociali. Sicuramente è servito a rilanciare l’immagine del principe Carlo, le quotazioni della “Firm” e a far guadagnare la Gran Bretagna, il resto si vedrà con il tempo. Vorrei invece raccontare quello che è rimasto a me, cronista tra gli altri, nel bel mezzo di quei centomila (o forse erano 150 mila?) appassionati del genere che presidiavano l’incantevole Windsor. Avevo un precedente, il matrimonio di Carlo e Camilla nell’aprile del 2005. Il giorno prima nevicava e un pò di quel gelo sembrava essere rimasto nel cuore degli inglesi che a parte qualche bandierina non avevano dimostrato molto entusiasmo al passaggio, ben più visibile, della famiglia reale tra le strade del paese. Stavolta la faccenda è stata ben diversa.
Con la troupe parcheggiamo alle 7 del mattino a Eton per riuscire a trovare un buco. Poi, a piedi fino a WIndsor dentro il fiume umano composto da gente comune e fortunati inviati a fare il pic nic e applaudire dentro il territorio del castello. Sul fiume cigni e imbarcazioni militari scorrono placidi. Dopo cinque ore in piedi a sgomitare tra la folla accampata da giorni dietro alle transenne decido di assistere alla cerimonia da uno dei tanti pub muniti di tv accesa. Qui il tifo è quello delle grandi occasioni. Troupe svenute al bancone, prosecco sui tavoli, comitive di signore con cappellino e veletta intorno, coppie californiane vestite come nelle Highlands insieme a inglesi rubizzi e attempati attaccati alla pinta di guinness. Arrivano William e Harry e si brinda. Arriva la regina e il tifo è da stadio. Arriva Meghan e io mi aspetto applausi, urla e gioia. E invece niente. Neanche una mosca a ronzare. Tutti tacciono. Poso il microfono e guardo bene. Il signore accanto a me, pelata orlata di bianco e occhi azzurro trasparente sta lacrimando. La ragazza brasiliana alle mie spalle idem. Si asciugano gli occhi le sciure col cappellino. Tira fuori il fazzoletto pure il californiano in kilt. La soprano intona le sue splendide note. Meghan sfila nella navata. Harry guarda lei come nessuno mai. E tutto intorno piangono. Quasi quasi piango anch’io.
Ecco. Non aggiungo nulla. Impossibile dire che persona sia davvero la neo duchessa del Sussex. Se ami Harry o no. Se sia un’arrivista o no. Se sia sgamata, buona, ipocrita, innocente, cinica, appassionata, finta, adorabile etc. etc. Ci ha provato Andrew Morton con una biografia dal mitico tempismo. Ci hanno provato tutti i blasonati cronisti della BBC che hanno trasmesso immagini in diretta come se il sole non potesse mai tramontare su quel castello. Ci hanno provato i Royal columnist di tutto il paese, gli analisti di costume di tutto il mondo. Solo una cosa posso dire. Che Meghan ha un autore fantastico. Il numero uno. Perchè quella camminata sola e solenne, dignitosa e tenera, all’altezza di tutte le donne del mondo, coronate o meno che siano, è stata strepitosa. Da far impallidire Ridge e Brooke. Un neo “Indovina chi viene a nozze” dove la regina sobbalza come Spencer Tracy e lei, fragile e impegnata sorride senza forzature, spazzando via in un secondo la dentatura sbiancata e paralizzata di Kate in carrozza per le vie di Londra. Senza dimenticare il fantastico Carlo con al braccio la coloured Doria da una parte e la wasp Camilla dall’altra, riedizione azzeccata di una pubblicità anni 80 di Benetton. Che questo autore sia l’amica Jessica ( tra l’altro mamma dello sdentato paggetto) o l’ufficio stampa di Buckingham Palace non si sa. Ma deve avere appoggi ben in alto per realizzare un tale ingresso da prima donna che non si appoggia a nessuno non in virtù di un’ imperdonabile Ubris ma per colpa di un povero papà incidentalmente malato. Un dono del cielo, senza dubbio. Salutato dalle impagabili lacrime alcoliche dell’anziano inglese e di un paese che questo ghost writer ha saputo incantare.